Dove c’è biblioteca c’è casa. L’ho capito in Inghilterra, quando fresca di trasferimento e con un inglese zoppicante ho rinunciato alla possibilità di utilizzarne una per un tempo che m’è parso lunghissimo. L’idea di dover comunicare mi sembrava un enorme scoglio da superare.

In Italia ho cominciato a frequentare biblioteche solo a partire dagli anni dell’università, ma è dopo la laurea che sono diventate un vero e proprio punto di riferimento. Nonostante questo, da quando vivo a Berlino non ci ho più messo piede.

A dirla tutta, non è che non ci abbia provato; di recente sono stata alla Staatsbibliothek di Berlino — che i berlinesi chiamano affettuosamente Stabi. Io e una mia amica volevamo tesserarci, ma ho fatto un buco nell’acqua perché non avevo con me uno dei documenti richiesti.

But the Library […] is no mere cabinet of curiosities; it’s a world, complete and uncompletable, and it is filled with secrets. Like a world, it has its changes and its seasons, which belie the permanence that ordered ranks of books imply. Tugged by the gravity of readers’ desires, books flow in and out of the library like the tides.

Matthew Battles

Leggendo Library: An Unquiet History di Matthew Battles, riflettevo sul nostro rapporto con le biblioteche, su quanto sia stato contraddittorio e instabile nel corso della storia e su come sia cambiato il modo in cui oggi, nell’era di Internet, accediamo al sapere.

Dalla grande biblioteca di Alessandria alla nascita della prima biblioteca pubblica dell’antica Roma; dalla ricercata produzione libraria dell’Islam alla fioritura di raccolte laiche ed ecclesiastiche nell’Italia rinascimentale; dalla British Library ai roghi di libri durante il nazismo; dalla biblioteca del ghetto di Vilna alla distruzione di quella nazionale di Sarajevo: in 253 pagine Library: an unquiet history affronta i momenti più significativi di una storia tutt’altro che tranquilla. Il risultato è un racconto fluido, mai pesante, che invoglia ad approfondire molte delle storie narrate e fa riflettere.

Per Battles i libri sono oggetti fisici nel mondo, con le proprie vite e le proprie storie; non costituiscono un modello per l’universo, ma un modello dell’universo. La biblioteca universale a cui si riferisce l’autore non è fatta di canoni, non è un distillato del bello e del buono; è invece l’insieme di tutti i libri, anche di quelli senza alcuna importanza o qualità; testi sempre aperti a nuove combinazioni e che bisogna catalogare affinché diventino desiderabili.

Le biblioteche dell’era digitale

La biblioteca dell’era digitale, avverte Battles, è in uno stato di mutamento continuo non distinguibile da uno stato di crisi. In un mondo dove la quantità di informazioni è in costante aumento, viene da chiedersi: cosa appartiene a una biblioteca?

Nel dover affrontare problemi di spazio e di fondi, queste istituzioni — specie le più grandi — sono costrette a fare delle scelte, decidendo cosa vendere, cosa mettere fra i propri scaffali o conservare in lontani depositi. Una decisione pericolosa, perché nella biblioteca pubblica ideale gli utenti avrebbero il diritto inviolabile di leggere qualunque cosa.

Pur temendo che il rischio di una situazione del genere non sia la perdita di libri ma quella di un mondo, Battles intravede un barlume di speranza nel fatto che le biblioteche sono sopravvissute a innumerevoli cambiamenti.

Ed è a noi lettori che esse devono una parte dell’eterno ciclo di rinnovamento: i miti della conoscenza e della compiutezza, dai quali siamo perseguitati e che sono alimentati dalla vista di milioni di volumi ammassati in uno stesso luogo ci spingono a produrre sempre nuovi libri da aggiungere alla collezione per poterla completare.

From age to age, libraries grow and change, flourish and disappear, blossom and contract – and yet through them all we’re chasing after Alexandria, seeking a respite on Parnassus, haunted by the myths of knowledge and of wholeness that books spawn when massed in their millions

Matthew Battles

Library: An Unquiet History è stato pubblicato per la prima volta nel 2003 da Vintage, ma io l’ho letto solo l’anno scorso nell’edizione del 2015 di W.W.Norton & Company. Nel 2004 Carocci lo ha incluso nella collana Saggi con il titolo Biblioteche: una storia inquieta. Conservare e distruggere il sapere da Alessandria a Internet.

P.S.

Com’è finita la mia storia con la biblioteca inglese? Dopo circa un anno di permanenza a Brighton — è lì che abitavo —, mi feci la tessera. Fu un atto semplice, che sancì la mia appartenenza a quella comunità, permettendomi di sperimentare la biblioteca non solo come luogo di accesso al sapere, ma anche, e soprattutto, come luogo di inclusione.

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4 commenti

Lorena 19/06/2017 - 1:23 pm

Che bello quest’articolo! Adoro il tuo blog… =) Complimenti! Comunque grazie per aver parlato del libro, lo leggerò appena posso. Le biblioteche sono una delle mie centomila passioni…

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Katy Poppins, seduta con in mano una tazza e un libro aperto davanti a lei
Caterina 19/06/2017 - 2:37 pm

Grazie di cuore a te Lorena! 🙂 Ma poi mi dici come si fa a non amarle le biblioetche? Io ci vivrei (con gatto annesso) 🙂

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Katia | Il Miraggio blog di viaggi arte storia 17/06/2017 - 7:14 pm

Io ci lavoro in biblioteca!! T’assicuro che a volte arrivo ad odiarle ma dopo mi pento e ritorno ad amare la carta stampata. In Germania non l’ho mai fatta (solo in Erasmus a Friburgo) perché, ad esempio a Kassel e a Dresda, chiedevano una tassa tipo 10€ a trimestre.
La mia tesi della magistrale parlava in parte dei libri e della carta stampata dopo il Concilio di Trento 😉

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Katy Poppins, seduta con in mano una tazza e un libro aperto davanti a lei
Caterina 17/06/2017 - 7:40 pm

I momenti no, quelli di sclero o rigetto per un lavoro arrivano sempre, anche quando facciamo quello che ci piace. E’ normale. 🙂 In effetti, come dici tu, qui si paga. Più o meno in tutte le biblioteche c’è una tessera annuale da fare, e se non ricordo male costa 30 Euro. Che poi non è che la tessera fatta in un biblioteca vale per tutte le altre. Dipende. L’unica dove non ho dovuto pagare e dove, infatti, mi sono iscritta, è quella dell’Università Humboldt. Le biblioteche non dovrebbero essere gratuite? Forse mi sfugge qualcosa.

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