Alle 22:301 del 25 agosto 1992, i nazionalisti serbi, guidati dal generale Ratko Mladic, aprirono il fuoco sulla Biblioteca Nazionale Universitaria della Bosnia-Erzegovina, chiamata Vijećnica.

Avevo 9 anni. Della guerra nei Balcani ricordo vagamente il fermento dei telegiornali a pranzo e a cena e il rumore degli arei militari diretti in Jugoslavia che sfrecciavano sopra l’Adriatico. Una guerra così vicina: stava dall’altra parte del mare. Anche le maestre ne parlavano. Vedevo gli adulti preoccupati e mi preoccupavo anch’io. Ma ero una bambina fortunata.

Non ricordo cosa dissero i tiggì dell’incendio di Vijećnica. Ora so, però, che quella perdita lasciò i Sarajevesi sconvolti. Il poeta bosniaco Goran Simić, che aveva visto la biblioteca in fiamme e raccolto pezzi di carta bruciata sparsi ovunque, in seguito scrisse:

Liberati dalla canna fumaria, i personaggi girovagavano per la città, mescolandosi con i passanti e le anime dei soldati morti. Ho visto Werther seduto sul recinto di un cimitero distrutto; ho visto Quasimodo, dondolante sul minareto di una moschea; Raskolnikov e Mersault sussurravano, per giorni, nella mia cantina; Yossarian già commerciava con il nemico; il giovane Soyer era pronto a vendere, per pochi soldi, il ponte Principov.

Goran Simić, Lamento per Vijecnica

Vijećnica conteneva circa un milione e mezzo di volumi — tra i quali 155 mila libri rari e manoscritti — l’archivio nazionale, copie di giornali, periodici e titoli pubblicati in Bosnia, la collezione libraria dell’Università di Sarajevo. Arse per tre giorni. Cittadini, bibliotecari e vigili del fuoco cercarono di salvare libri e vite umane nonostante le fiamme, il fumo e l’incessante fuoco dei cecchini appostati sul monte Trebević. 

Un membro dello staff, Aida Buturovic, morì colpita dalle schegge di una granata. L’operazione di recupero del patrimonio librario e documentario continuò nei giorni seguenti. L’attacco al monumento simbolo di Sarajevo, avvenuto durante il lungo assedio della città (1992-1996), non fu l’unico. Solo tre mesi prima i nazionalisti serbi avevano preso di mira l’Istituto Orientale.

Ingenti, ancora una volta, le perdite. Tra queste: 5,263 manoscritti in arabo, persiano, ebreo e aljamiado (lingua bosniaca scritta in caratteri arabi); 7000 documenti ottomani fondamentali per ricostruire cinque secoli di storia bosniaca; una collezione di registri catastali del XIX secolo; circa 200.000 altri documenti di epoca ottomana, incluse copie di microfilm.

Andras Riedlmayer, storico, attivista e bibliotecario, ha documentato la distruzione dei beni culturali di molti altri musei, biblioteche, archivi e istituzioni avvenute in Serbia, Herzegovina, Croazia e successivamente in Kosovo. Tuttavia, quella subita da Vijećnica è risultata la più pesante. Si riuscì a salvare solo il 10% del suo intero patrimonio. Secondo Riedlmayer le motivazioni dei nazionalisti serbi erano fin troppo chiare:

By burning the documents, by razing mosques and churches and bulldozing graveyards, the nationalist forces who took over these towns and villages were trying to insure themselves against any future claims by the people they had expelled and dispossessed.

Andras Riedlmayer – Convivencia under fire: genocide and book burning in Bosnia

Attaccando musei, archivi e biblioteche, si tentò di eliminare, in nome della pulizia etnica, le prove materiali che avrebbero ricordato alle generazioni future un passato caratterizzato dalla presenza, in Bosnia, di persone di etnia e religione diversa con un retaggio culturale comune.

Matthew Battles in Library. An unquiet history racconta la storia emblematica di Nikola Koljevic (1936-1997), professore all’università di Sarajevo, traduttore e saggista; la massima autorità su Shakespeare prima della guerra nei Balcani.

Nel 1990 si unì al movimento nazionalista serbo; due anni dopo diventò il braccio destro di Radovan Karadzic, recentemente riconosciuto colpevole del reato di genocidio in relazione ai sanguinosi fatti di Srebrenica (luglio 1995).

Koljevic diresse l’assedio di Sarajevo e firmò l’ordine che autorizzava il generale Ratko Mladic a bombardare Vijećnica, la biblioteca utilizzata per anni dall’ex ricercatore e professore universitario, la biblioteca simbolo di tutto ciò che egli successivamente cominciò a odiare: l’eredità ottomana di Sarajevo e un passato caratterizzato dalla coesistenza di culture diverse.

Vijećnica, ieri e oggi

Il 9 maggio 2014 Vijećnica ha riaperto i battenti. Si affaccia come prima sul fiume Miljacka, lungo il viale Obala Kulina bana, ma è lontana dalle sue precedenti funzioni. Il suo architetto, Alexander Wittek (1852-1894), morì prima della fine dei lavori in un manicomio di Graz. In seguito alla scomparsa di Wittek, Ćiril Iveković portò avanti il progetto.

L’edificio, inaugurato nel 1896 nel vecchio quartiere turco, fu inizialmente adibito a municipio. L’impero austro-ungarico, che aveva occupato la Bosnia nel 1878, pensava così di rimarcare il proprio potere, attirando allo stesso tempo le simpatie dei cittadini musulmani con un’architettura dallo stile neo-moresco.

Nel 1946 venne trasformato in biblioteca. Poi la distruzione nel 1992. L’Unione Europea ha fornito gli aiuti economici per la sua ricostruzione; il restauro è stato lungo e complesso. Infine, tre anni fa, la riapertura dell’edificio. Sembra che oggi Vijećnica sia di proprietà dello stato e venga usata prevalentemente come luogo per eventi di vario genere, come spiega Cecilia Borrini su Balcanicaucaso

La Storia e la speranza 

Il 28 giugno 1914, nel giorno di Vidovdan2, una ricorrenza molto sentita dal popolo serbo, da Vijećnica partì la macchina con l’erede al trono austro-ungarico Francesco Ferdinando e la moglie Sofia.

Dopo qualche minuto, all’altezza del Ponte Latino, due spari squarciarono l’aria: il diciannovenne serbo-bosniaco Gavrilo Princip aveva ucciso entrambi. Il 28 luglio 1914 l’Austria dichiarò guerra alla Serbia dando inizio al primo conflitto mondiale.

Nel 1992 Vijećnica e la Storia si incontrarono di nuovo. E una fotografia fece il giro del mondo: quella di Vedran Smajlovic che, seduto fra le macerie della biblioteca, suonava il violoncello. Il 27 maggio 1992 ventidue civili erano stati uccisi da una granata. Il musicista, che aveva assistito inerme alla scena dalla finestra di casa sua, scese in strada e cominciò a suonare l’Adagio di Albinoni3.

Suonò il violoncello in giro per la città nei ventidue giorni seguenti, incurante dei cecchini. Intendeva commemorare le vittime. Continuò nei mesi successivi per sollevare il morale del suo popolo. E suonò anche fra le macerie di Vijećnica. Ti lascio con una canzone degi U2 che mi è sempre piaciuta molto:

Credit: Julian Nitzsche, via Wikimedia Commons

  1. La mia fonte per molte delle informazioni riportate in questo post è stata “Library. An unquiet history” di Matthew Battle.[]
  2. Vidovdan è una ricorrenza religiosa dedicata a San Vito, celebrata dalla Chiesa ortodossa serba e da quella bulgara. Secondo la tradizione religiosa e nazionale, inoltre, il 28 giugno 1389, la Serbia avrebbe combattuto contro l’impero ottomano nella battaglia di Kosovo Polje.[]
  3. Quello conosciuto come Adagio di Albinoni è stato reso noto dal musicologo Remo Giazotto, che lo ricostruì nel 1958, grazie ad alcune partiture musicali del compositore italiano Tomaso Albinoni (1671-1751), ritrovate fra le macerie della biblioteca statale di Dresda, distrutta dalle bombe nel 1945.[]

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2 commenti

Crisitna 26/09/2019 - 3:41 pm

una precisazione: l’ordine del rogo partì da un professore di letteratura serba, intellettuale frustrato finto conoscitore di Shakespeare, di nome Nikola Kolievic NATURALMENTE GRANDE COLLABORATORE DEL COMANDANTE DELLA REPUBBLICA SRPSKA …R. MLADIC.
cristina

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Katy Poppins, seduta con in mano una tazza e un libro aperto davanti a lei
Caterina 27/09/2019 - 1:42 pm

Ciao Cristina, grazie! In realtà l’ho scritto nel post che è stato Kolievic a ordinare il rogo. 🙂

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