Dal deserto del Ténéré all'Oman, dalla Palestina a Oxford e da qui a molti altri luoghi del mondo.

A fine anno, guardandomi indietro, traccerò una linea immaginaria fra il prima e il dopo, fra quando eravamo in tre e quando siamo diventati quattro, fra quello che ho letto e scritto durante la gravidanza e quello che avrò letto e scritto successivamente, nei ritagli di tempo rubati al sonno con la destrezza di un’acrobata di lungo corso, saldamente aggrappata a tazze di caffè.

Piccolo Poppins, fratello di Piccola Poppins, è arrivato in un non troppo afoso giovedì di luglio sul far della sera, nell’unico giorno del mese in cui è scesa un po’ di pioggia. Da allora di cose ne sono successe e mentre ricostruiamo nuovi equilibri, io cerco di ritrovarmi.

Gradualmente ho recuperato energia e creatività, che in qualche modo devo sfogare altrimenti appassisco, ammuffisco, ristagno, mi inceppo o finisco con il lucidare lavandini alle 5 del mattino (true story), quando i criceti nella mia testa sono particolarmente attivi.

Con questo post riprendo il filo perso per strada mesi fa. E visto che dall’autunno scorso ho condiviso poco dei libri letti, faccio un mini riepilogo dei più interessanti, che non ho avuto il tempo (e soprattutto la concentrazione) di recensire singolarmente come faccio di solito. Cominciamo?

La carovana del sale, Elena Dak

Avvinta dal deserto del Sahara, a cui ho dedicato un’edizione della mia newsletter, tra agosto e settembre 2021 ho letto La carovana del sale di Elena Dak, scoperta grazie a un episodio di Nomadismo Professionale (straconsigliato se ti interessa l’antropologia culturale), il podcast di Cristina Cassese.

Dak — scrittrice, guida, antropologa ed esploratrice di angoli remoti del mondo — in questo libro racconta la sua avventura al seguito di una carovana del sale nel deserto del Ténéré: un viaggio di circa 1200 chilometri insieme ai Tuareg per raggiungere le saline dell’oasi di Bilma. Diviso in due parti, la prima dedicata all’andata e la seconda al ritorno, è corredato da un glossario con delle parole in lingua tamasheq tradotte in italiano.

L’esperienza vissuta dall’autrice, che ha richiesto un anno di dura preparazione fisica, è raccontata con delicatezza e umiltà, attraverso un linguaggio vivido e uno sguardo attento tanto al mondo esterno quanto a come esso interagisce con il suo mondo interiore.

Dak cattura i dettagli di un’avventura straordinaria e irripetibile, offrendo a noi l’occasione di conoscere una realtà dove ogni gesto è consapevole e misurato, dove i ritmi della vita umana seguono quelli della natura e dove forme e colori danzano nella luce del deserto o diventano tutt’uno con le fredde notti stellate.

Acquista e leggi La carovana del sale, Elena Dak, Corbaccio, 2013, pp. 141

Uomini sotto il sole, Ghassan Kanafani

Uomini sotto il sole di Ghassan Kanafani, libro, copertina.

Ghassan Kanafani (1936-1972), scrittore, giornalista e attivista arabo morto prematuramente in un attentato a Beirut, è noto in Italia anche per Ritorno ad Haifa (Edizioni Lavoro, 2014).

Uomini sotto il sole è del 1963, ma non si direbbe: sembra sia stato scritto oggi. È una storia sull’emigrazione, e in particolare sulla diaspora palestinese. Racconta la vicenda di tre uomini che si affidano a una guida, Canna, per scappare dalla Cisgiordania dopo la fondazione dello Stato di Israele e raggiungere clandestinamente il Kuwait alla ricerca di un futuro migliore. Abu Qais, Assad e Maruan sono disposti a tutto, anche a rischiare la vita attraversando il deserto infuocato all’interno di un’autocisterna. 

È un romanzo breve, intenso e struggente, i cui personaggi riescono a rappresentare bene tutte le sfumature dell’animo umano. In sole 81 pagine Kanafani mette in scena un dramma, che è ancora quello di milioni di persone costrette a lasciare il proprio Paese a causa di povertà, guerre, carestie o per le conseguenze del cambiamento climatico.

Acquista e leggi Uomini sotto il sole, Ghassan Kanafani, traduzione di Isabella Camera d’Afflitto, Edizioni Lavoro, 2016, pp. 88

Nel blu tra il cielo e il mare, Susan Abulhawa

Nel blu tra il cielo e il mare di Susan Abulhawa, libro, copertina.

Questa saga familiare è ambientata in Palestina. A narrarla è Khaled, un bambino di dieci anni sospeso tra la vita e la morte. Entrato in una dimensione dove il tempo non esiste, racconta la storia delle donne della sua famiglia a partire dalla Nakba, che costringe la bisnonna Umm Mamduh e i figli sopravvissuti all’invasione israeliana a lasciare Beit Daras.

La nonna Nazmiyeh inizia una nuova vita a Gaza, dove dà alla luce lo zio Mazen, frutto di uno stupro, al quale seguiranno molte altre gravidanze, mentre Mamduh, fratello di Nazmiyeh ferito a una gamba, emigra negli Stati Uniti. Poi ci sono la prozia Mariam, uccisa dai soldati israeliani e di cui Khaled diventa amico immaginario, la madre Alwan, la sorella Rhet Shel e Nur, nipote di Mamduh, psicoterapeuta nata e cresciuta negli USA, che va a Gaza per studiare la sindrome “locked-in” dopo aver visto un documentario su Khaled, ignara del fatto che tra loro scorra lo stesso sangue.

Nel blu tra il cielo e il mare è la storia di una diaspora e della ricerca delle proprie radici, del tentativo di rinascere, di ridefinire la propria identità al di là dei traumi subiti e di aggrapparsi alla vita nonostante le difficoltà e la precarietà delle condizioni materiali.

Susan Abulhawa tratta un argomento complesso e doloroso, il conflitto tra ebrei e palestinesi. Lo fa attraverso le vicende di una famiglia di profughi, che nell’arco di quattro generazioni deve imparare a convivere con i traumi del passato e con un presente non meno amaro, fatto di ferite collettive che non hanno mai smesso di sanguinare e che si sommano a quelle individuali.

In mezzo a tanti drammi però ci sono anche personaggi memorabili (penso a Nazmiyeh), episodi divertenti, la rassicurante quotidianità di un gruppo di donne che nel loro relazionarsi costruiscono un rifugio dove leccarsi le ferite dell’anima, fatto di speranza, cibo, inclusione, affetto e aiuto reciproco, il tutto condito da una lingua che sa di fiaba e a un tocco di realismo magico in chiave araba.

Acquista e leggi Nel blu tra il cielo e il mare, Susan Abulhawa, traduzione di Silvia Rota Sperti, Feltrinelli, 2016

Corpi celesti, Jokha Alharthi

Corpi celesti di Jokha Alharthi, libro, copertina con tre tulipani accanto.

Premiato nel 2019 con l’International Booker Prize e pubblicato a gennaio 2022 da Bompiani, Corpi celesti è il secondo romanzo di Jokha Alharthi, uscito nel 2010 con il titolo Sayyidat el-Qamar. Si tratta di una saga familiare incentrata su tre sorelle — Mayya, Khawla e Asmà — e ambientata principalmente ad al-Awafi, un villaggio dell’Oman rurale.

Nel susseguirsi di voci che lo caratterizzano — a ogni capitolo corrisponde un personaggio — l’unica a essere in prima persona è quella di Abdallah, il marito di Mayya, un uomo di mezza età, che su un volo per Francoforte riflette sulla propria vita, mettendo in dubbio la propria mascolinità. Maya lo ha sposato dopo una delusione amorosa, anche per potersi allontanare dalla madre; Khawla passa anni a rifiutare offerte di matrimonio, in attesa dell’unico uomo che ama; Asma si sposa per senso del dovere con una persona troppo concentrata su di sé. Con continui salti temporali, anche all’interno dello stesso capitolo, ci ritroviamo immersi in una sorta di continuo presente.

Corpi celesti parla soprattutto di amore; racconta, da un punto di vista per lo più femminile, di relazioni familiari e matrimoni infelici in una società divisa fra modernità e tradizione, permettendoci di gettare uno sguardo su un Paese poco conosciuto, che negli ultimi cinquant’anni è andato incontro a rapidi cambiamenti.

Sono spesso i dettagli della vita quotidiana a rivelarne la storia, la cultura e la tensione tra lo slancio verso il nuovo e il forte legame con il passato. L’autrice tocca anche il tema della schiavitù, abolita nel 1970, tasto dolente e argomento tabù. Corpi celesti è stato il primo romanzo in lingua araba a ottenere il prestigioso premio e il primo romanzo di una scrittrice omanita a essere tradotto in inglese.

Acquista e leggi Corpi celesti, Jokha Alharthi, traduzione dall’arabo di Giacomo Longhi, Bompiani, 2022, pp. 264

Le intruse, Frances Larson

Le intruse, copertina

Non ne ho mai abbastanza di libri che raccontano di donne “che volevano scoprire il mondo“, e quando lo scorso autunno ho visto questo l’ho acquistato senza pensarci due volte. Con Intruse Frances Larson, antropologa e studiosa di storia della medicina, ne presenta cinque: loro sono Katherine Routledge, Winifred Blackman, Barbara Freire-Marreco, Beatrice Blackwood e Maria Czaplicka e hanno scelto di vivere oltre i confini sociali, culturali e geografici. Ad accomunarle è l‘antropologia, disciplina studiata nei primi decenni del Novecento a Oxford.

Ognuna scelse il proprio ambito di ricerca: Routledge (1866-1935) viaggiò tra l’Africa orientale e l’Isola di Pasqua, Blackman (1872-1950) si concentrò sui villaggi egiziani affacciati sul Nilo, Czaplicka (1884-1921) organizzò una spedizione in Siberia, Freire-Marreco (1879-1967) trascorse un periodo della sua vita tra i pueblos del New Mexico e dell’Arizona e Blackwood (1889-1975) raggiunse la Nuova Guinea.

Le donne iscritte a Oxford erano percepite nel migliore dei casi come potenziali assistenti, e nel peggiore come intruse minacciose. […] Solo poche centinaia avevano frequentato la Oxford University prima della prima guerra mondiale. Alle donne non era consentito essere membri dell’università, e nonostante potessero sostenere gli esami, fino al 1920 non avevano il permesso di conseguire la laurea che si erano guadagnate. Le donne erano quasi invisibili, spesso denigrate e di solito inesistenti per i colleghi di studio. Poche lavoravano all’università come dattilografe o assistenti. Passare da queste occupazioni subordinate alle foreste della Nuova Guinea o alle crudeli distese della tundra artica in nome della ricerca accademica fu un risultato sbalorditivo.

Le intruse, Frances Larson


Due volte intruse, fra i corridoi universitari e fra i popoli che studiarono, misero in discussione il modello di donna tradizionalmente accettato e cercarono la libertà altrove, lontano dalle maglie soffocanti della società dell’epoca.

Larson mette in luce la portata del loro lavoro, le difficoltà incontrate già all’università, le aspirazioni, le frustrazioni, le preoccupazioni, le delusioni, la solitudine, l’impegno e la tenacia nell’andare avanti per la propria strada. Con alcune il destino fu più clemente, con altre meno. Tutte sono state il simbolo di una lotta ben più grande, quella per i diritti delle donne.

Acquista e leggi Le intruse. Dalle aule di Oxford ai confini della cività: storie di donne che volevano scoprire il mondo, Frances Larson, traduzione di Claudia Durastanti, Utet, pp. 336, 2021

Note a margine

Nonostante mi porti sempre un libro dietro e usi qualsiasi momento per leggere, questa attività ora dipende da fattori esterni sui quali non ho alcun potere1. Diversi pianeti, infatti, devono allinearsi, affinché io possa eclissarmi fra le pagine di un libro per almeno dieci minuti senza interruzioni.

Passerà quindi ancora del tempo prima che io torni a scrivere con costanza qui e sulla newsletter. Riguardo a quest’ultima: grazie a tutte le persone che si sono iscritte negli ultimi mesi! Ho già saltato l’edizione estiva e autunnale. Mi piacerebbe inviare almeno quella invernale, ma non garantisco nulla.

Anche perché ci sono due questioni ancora aperte: 1) vorrei apportare dei cambiamenti ai suoi contenuti, ma sto ancora decidendo cosa modificare e come; 2) se finora sono andata a braccio nel prepararla, in base all’ispirazione del momento, adesso sento il bisogno di un piano editoriale per renderla sostenibile nel lungo periodo.

Per oggi ho finito. Buon autunno!

A presto,
Katy Poppins

  1. La stessa cosa vale per la scrittura. Se leggo non posso scrivere; se scrivo non posso leggere. La mattina, comunque, sto ricominciando a svegliarmi molto presto. Vedremo cosa riuscirò a combinare nelle prossime settimane.[]

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2 commenti

Chiara 26/11/2022 - 3:57 pm

Ciao!
Complimenti per il blog e per la tematica del viaggio che accompagna le recensioni di libri.

Nelle mie ultime letture spesso l’antropologia era una tematica principale o di riflesso e perciò mi interessano particolarmente il primo libro di cui hai parlato, anche per le atmosfere che sembra vivere l’autrice e l’ultimo, perché non avevo mai pensato a quanto deve esere stato difficile essere donne e antropologhe in un certo periodo storico.

P.S. Adoro scoprire nuovi podcast quindi grazie anche per quel suggerimento!

Rispondi
Katy Poppins, seduta con in mano una tazza e un libro aperto davanti a lei
Caterina 01/12/2022 - 6:34 am

Ciao Chiara, benvenuta! Nemmeno io in effetti prima di leggere quello sulle antropologhe avevo mai pensato alla difficoltà per una donna di fare quel mestiere in quel periodo storico, nonostante sapessi delle difficoltà che le donne generalmente avevano in moltissimi campi. Sono felice di averti incuriosita e di averti fatto scoprire un nuovo podcast. Grazie per essere passata di qui! A presto 🙂

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