Quest’anno è fatto di ritorni e riletture, di cerchi che si chiudono e atti simbolici. Da qualche mese ho ripreso a occuparmi di questo blog in maniera più costante. Le idee arrivano, la linfa scorre, aiutata dalla volontà di alleggerirmi, di curare la qualità delle cose che faccio senza cadere nella trappola del perfezionismo, sempre in agguato.

Ritorno a Praga

A maggio abbiamo trascorso un fine settimana a Praga per festeggiare la nascita del figlio di un’amica (da’ un’occhiata ai suoi gioielli). Non la vedevamo dai tempi di Brighton. Ovviamente abbiamo viaggiato in treno. Da Berlino ci vogliono circa quattro ore.

Per due giorni ci siamo immersi nella lingua ceca, abbiamo interagito con persone mai viste prima come se le conoscessimo da sempre e gettato uno sguardo sulla campagna fuori Praga, di cui ricordo soprattutto il giallo soffice degli sterminati campi di colza.

Su suggerimento della nostra amica abbiamo alloggiato nel quartiere di Holešovice (Praga 7). Non ho avuto tempo di esplorarlo, ma il poco che ho visto mi è piaciuto (questo articolo propone un itinerario da seguire). Pur essendo già stata nella capitale ceca due volte ho visto solo una minima parte di quello che offre. Spero di tornarci ancora. Che libro avevo nello zaino durante il viaggio? Un classico: Praga magica di Angelo Maria Ripellino.

Vista panoramica dal Letna Park. In questo parco, dove oggi c’è il metronomo
si ergeva un’enorme statua di Stalin poi rimossa, la più grande al mondo.

Tre donne (straordinarie) che dovresti conoscere

A Praga ci sono tornata ad agosto con un libro: Věra Čáslavská. Campionessa dissidente di Armando Fico, pubblicato a giugno da Battaglia Edizioni.

Čáslavská è stata una campionessa olimpionica di ginnastica artistica, famosa per i successi sportivi e per l’appoggio al movimento democratico cecoslovacco (firmò il Manifesto delle duemila parole).

La sua performance alle Olimpiadi di Città del Messico, nel 1968, è entrata nella storia non solo per la perfezione e la bellezza dei movimenti, ma anche perché durante la premiazione, in piedi sul gradino più alto del podio condiviso con la rivale Larisa Petrik, manifestò il suo dissenso distogliendo lo sguardo mentre veniva suonato l’inno dell’Unione Sovietica.

Io Čáslavská non l’avevo mai sentita nominare, un po’ perché non mi interesso di sport e un po’ perché proprio a causa di quel gesto e del suo appoggio alla causa antisovietica, appena dopo i giochi olimpici, il suo nome fu trascinato nell’oblio. Nonostante questo non rinnegò mai le sue idee. Dal pozzo nero in cui venne scaraventata uscì solo dopo il crollo del comunismo. La vita, però, aveva in serbo per lei un altro grande dolore a cui seguì una depressione durata molti anni.

Věra Čáslavská. Campionessa dissidente è il primo libro in italiano interamente dedicato a lei. L’autore ne ricostruisce la giovinezza, gli esordi, il culmine della carriera, l’oblio e la rinascita, ricorrendo a una narrazione che alterna i dati biografici e i fatti storici a scene e dialoghi di fantasia. La determinazione di questa donna, la sua autodisciplina, il suo darsi, il suo farsi tramite per qualcosa di più grande, per dei valori inalienabili, diventando così il simbolo della lotta di un popolo, mi hanno profondamente colpita.

Dalla Repubblica Ceca all’Inghilterra, da una sportiva a una pittrice, che era anche una scrittrice, arriviamo a Leonora Carrington. Ho adorato il libro scritto da Elvira Seminara e pubblicato da Giulio Perrone Editore per la collana Mosche d’oro1.

La sua “ricognizione innamorata e immaginosa” di questa donna è breve (poco più di cento pagine) e incisiva. L’autrice si immerge nell’universo creativo di Carrington, seguendone le giravolte con una tale partecipazione e profondità di analisi che è impossibile non lasciarsi trascinare.

Le parole con cui racconta Carrington, che “per la sua inadattabilità al canone e alle etichette, per la sua indipendenza declinata su ogni fronte, per la sua irriducibilità e il suo spirito dissacrante, non ha avuto ancora il posto che merita nella storia dell’arte contemporanea”, hanno levità, poesia, freschezza. Sono perfette per tratteggiare una figura tanto maestosa, imprevedibile, inafferabile, spesso associata al surrealismo e ricordata soprattutto per la sua relazione con Max Ernst.

Copertina del libro Fronti e Frontiere di Joyce Lussu.

Infine c’è lei: Joyce Lussu, che con Fronti e Frontiere offre una testimonianza di prima mano sulla resistenza durante la Seconda guerra mondiale. Uscito nel 1944 e rimaneggiato fino all’edizione del 1967, è stato pubblicato dalla casa editrice Abbot nel 2021 con la prefazione di Jennifer Guerra.

All’anagrafe Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti, Joyce Lussu (1912-1998) è stata scrittrice, poetessa, traduttrice, partigiana, poliglotta, giramondo e cento altre cose. Nel 1966 ha ricevuto la medaglia d’argento al valore militare.

Cresciuta a Firenze in una famiglia di intellettuali antifascisti, a 12 anni seguì i genitori in Svizzera. Successivamente si iscrisse alla facoltà di filosofia dell’università di Heidelberg, ma nel 1933 abbandonò gli studi e tornò in Italia. Entrò quindi in contatto con l’organizzazione antifascista Giustizia e Libertà e a Ginevra conobbe Emilio Lussu, che sposò qualche anno dopo e con il quale andò a vivere in Francia.

Ed è proprio a Parigi, nel 1940, che inizia il racconto autobiografico di Fronti e Frontiere. La capitale francese è occupata dalle truppe tedesche. Joyce ed Emilio fuggono prima a Marsilia, dove lei impara a falsificare documenti d’identità per chi deve scappare all’estero, poi in Portogallo.

In Inghilterra frequenta una scuola militare per radiotelegrafisti, allo scopo di “completare la sua preparazione alla vita clandestina e rivoluzionaria”. Completato il tirocinio in Scozia, si iscrive a un corso di cifrari e codici, e impara a usare armi da fuoco e nozioni di primo soccorso.

Dopo qualche tempo la coppia torna in Francia, passando per Marsiglia. Sono anni di continui spostamenti, di clandestinità, di precarietà, sempre in bilico tra la vita e la morte, con il rischio essere scoperti.

Nel 1943 torna in Italia. A Roma, appena dopo l’armistizio, si ricongiunge a Emilio. La città è stata appena occupata dai tedeschi. Le viene proposta una missione che accetta: andare a Sud con il compito di incontrare degli amici tornati dall’America e stabilire contatti con gli alleati.

Il libro si conclude con il suo ritorno a Roma. Joyce sceglie di saltare a piè pari il lungo inverno trascorso nella città occupata e ricordare invece il giorno in cui assiste alla ritirata delle truppe tedesche.

Le vicende di Joyce ed Emilio Lussu durante la guerra mi hanno tenuta con il fiato sospeso tutto il tempo. Le sue osservazioni sui posti che vede e sulle persone che incontra sono precise e interessanti. La parte che più mi ha coinvolta emotivamente è stata il racconto del difficile viaggio verso l’Italia meridionale e l’altrettanto difficile viaggio di ritorno verso la capitale.

Fronti e frontiere è inoltre popolato di figure femminili. Ciascun capitolo ha il nome di una donna. Joyce ne ha incontrate tante durante la guerra e molte l’hanno aiutata a sopravvivere. Ha quindi voluto restituire loro uno spazio, perché come spiega nel breve testo introduttivo: “si parla così poco di donne nella letteratura italiana, di donne nel pieno senso umano, e non solamente amoroso e sentimentale!”.

Concludo segnalandoti il bell’articolo di Sara Mostaccio su Elle, dedicato alle poetesse italiane dimenticate: “La straordinaria vita di Joyce Lussu poetessa, partigiana, femminista dal talento portentoso“.

Una novità

Mentre nelle ultime settimane scrivevo l’edizione autunnale di Altrove, la newsletter stagionale di Letture in Viaggio, mi sono resa conto di una cosa:

  • il sistema che uso per l’invio della newsletter, Mailchimp, non è adatto ai miei bisogni attuali

E così ho deciso di:

  • salutare Mailchimp e passare a Substack, una piattaforma che tenevo d’occhio già da un po’ e dove al momento si trovano quasi tutte le newsletter a cui sono iscritta

Decisione che non ho preso a cuor leggero, perché Substack ha anche lati che mi fanno storcere il naso. Fra un anno tirerò le somme e se il bilancio è negativo troverò un’altra piattaforma per le newsletter.

Per ora mi fermo qui. In uno dei prossimi post ti spiegherò come ci si iscrive, cosa cambia (o non cambia) per chi già riceve Altrove, come funzionano le newsletter su Substack e così via. Avrai quindi la possibilità di scegliere in maniera consapevole se seguirmi in questa nuova avventura o no.

A presto!
Katy Poppins

Credit: immagine di copertina Botánica general [Material gráfico] di Cultura Eimler – Basanta – Haase – Virtual Library of Bibliographical Heritage, Spain – CC BY. | La foto nell’articolo è mia.

  1. Il nome della collana deriva dal titolo di un romanzo di Anna Banti (1895-1985), scrittrice che ho conosciuto attraverso la sua traduzione di Northanger Abbey, romanzo di Jane Austen letto qualche mese fa per preparare il tour a Bath. Le mosche d’oro è un romanzo del 1962, reperibile al momento solo usato, nella vecchia edizione Mondadori. Pare verrà ripubblicato da Hacca edizioni.[]

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