Oggi torno a casa, nella regione in cui sono nata.

A dicembre 2023 sono tornata in Abruzzo. Quale occasione migliore per leggere un libro ambientato nella mia regione? Ho scelto Portami dove sei nata. Un ritorno in Abruzzo terra di crolli e miracoli di Roberta Scorranese, pubblicato da Bompiani nel 2019.

Scorranese è nata a Valle San Giovanni, una frazione di Teramo i cui abitanti, circa 300, si chiamano vallaroli. Da anni vive e lavora a Milano, dove scrive per il Corriere della Sera. In Portami dove sei nata torna con la memoria alle storie della sua famiglia. Seguendo piani temporali diversi alterna il ricordo dei suoi “fantasmi” (a partire dal 1942) alle vite di altre persone in altri luoghi della provincia teramana visitati dall’autrice tra il 2016 e il 2018 e colpiti dai terremoti del 2009 e del 2017.

I terremoti, però, non sono solo quelli che fanno crollare le case, ma anche quelli metaforici che mettono a dura prova relazioni, credenze e valori condivisi. Penso, per esempio, al “peccato grosso” del nonno dell’autrice, Gino, che turba gli equilibri familiari gettando un’ombra che si dissolverà solo molti anni dopo, oppure alla colpa del bisnonno Peppe che ruba soldi ai fratelli emigrati in Belgio per ripagare i debiti di gioco.

Tra le tante storie che mi hanno strappato un sorriso ci sono La guerra dei fiori e Nun sai fa’, nun sai fa’, nun sai fa’, sulla prima donna che nel 1972 a Valle San Giovanni prese la patente. Qualcuna però mi ha anche commossa. La mia preferita è Si pregava e si faceva l’amore, ambientata a Cocullo nel 1973 durante la festa dei serpari.

Celestina, la protagonista, è l’esclusa, colei che paga pegno per aver avuto un figlio fuori dal matrimonio con il nonno dell’autrice — il Gino del “peccato grosso” —, colei che non può nulla contro la fedeltà al clan familiare, l’osservanza religiosa e le severe regole sociali non scritte dell’epoca.1 Pur essendo vissuta realmente, su di lei sono state costruite storie di fantasia “non tanto per proteggere la privatezza delle persone, quanto per un innato rispetto verso l’unica forma di verità che ci rende felici: il racconto.”, spiega l’autrice nel prologo.

C’è un Abruzzo che conosco e riconosco nelle parole di Roberta Scorranese: quello dei paesi dell’entroterra, delle madonne lignee o fittili — preziosi manufatti vecchi di secoli dai destini spesso incerti2 —, dei soprannomi — a volte molto coloriti — assegnati a singole persone o a interi nuclei familiari, dei modi di dire, del dialetto teramano a cui sono legati i ricordi di una parte della mia vita. C’è poi l’eco di un passato lontano, delle storie che popolano il mio immaginario3.

In quelle ultime mattine di dicembre lente e silenziose, seduta al tavolo di una cucina poco illuminata, i fantasmi dell’autrice hanno evocato i miei, e io mi sono raggomitolata fra le pagine di Portami dove sei nata felice come una bambina.

  1. Credo che ogni albero genealogico, a un certo punto delle sue ramificazioni, abbia almeno un’esclusa. Anche nel mio ce n’è una, la bisonna materna.[]
  2. Acquattate in qualche chiesetta di paese dimenticata, danneggiate, perdute, ma in alcuni casi fortuiti anche ritrovate, restaurate ed esposte nei musei locali o ricollocate nel luogo per cui erano state originariamente pensate. È un tema a me caro.[]
  3. Quante ne ho ascoltate nel corso degli anni da mia madre, dalle mie zie (sorelle di mamma), da mia nonna (materna), da mio nonno (materno), e da un’amica e vicina di casa di mia nonna, bravissima nell’arte di raccontarle. Lei è stata per anni la memoria storica del paese.[]

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