Nel 1924 Alexandra David-Néel (1868-1969) è un’eroina nazionale, la prima donna occidentale ad aver messo piede a Lhasa. Il suo volto campeggia sui giornali francesi; riceve premi, riconoscimenti e inviti a tenere conferenze.

Quando si mette in cammino per raggiungere la capitale del Paese delle Nevi, il Tibet è da anni una terra preclusa agli stranieri e lei ha già tentato di penetrare la zona proibita quattro volte. L’ultima, la quinta, quella che l’ha resa famosa, è raccontata in un libro pubblicato nel 1927, edito in Italia da Voland con il titolo Viaggio di una parigina a Lhasa (tradotto da Emilia Gut).

È un mio principio non accettare mai una sconfitta di qualsiasi natura possa essere e chiunque sia a infliggermela. (Alexandra David-Néel) Condividi il Tweet

In viaggio per Lhasa

Nel 1923 Alexandra ha 54 anni. Il suo corpo è vigoroso, non teme privazioni, freddo e fatica; i suoi nervi, però, vengono messi a dura prova. L’ansia di essere scoperta e costretta a fare retromarcia la accompagna per tutto il viaggio.

Alexandra David-Néel | Credit: Preus museum, CC BY 2.0, via Wikimedia Commons
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Riduce i bagagli al minimo indispensabile e si traveste da pellegrina tibetana per non dare nell’occhio. Non è sola, con lei c’è anche il giovane Lama Aphur Yongden, suo futuro figlio adottivo.

I due partono da Tsedjrong — l’attuale Cezhong (o Cizhong) —, nello Yunnan. Ospiti presso la missione di padre Ouvrard, se ne allontanano a fine ottobre con la scusa di andare a cogliere erbe sulle montagne.

Alexandra è preparata. Oltre a parlare tibetano, conosce la cultura e le tradizioni del luogo e ha raccolto numerose informazioni sulla geografia della regione.

Il travestimento da pellegrina e anziana madre del giovane Lama le permette inoltre di essere accolta nelle case della gente comune e studiarne la quotidianità:

Da quando eravamo atterrati sulla riva destra del Saluen, la nostra esistenza somigliava in tutto e per tutto a quella di veri girovaghi tibetani. Non ci nascondevamo più nei luoghi deserti; al contrario, gironzolare nei villaggi era diventato il nostro grande divertimento. Ogni tappa ci portava vicino ad altri contadini. Questa brava gente, che ci considerava facenti parte del popolino come loro, parlava e agiva del tutto liberamente in nostra presenza. Passavamo la notte da loro, distesi nella cucina o a dividere la camera di qualcuno tra i nostri ospiti, studiando le loro abitudini da vicino, ascoltando la loro conversazione, le loro considerazioni sugli eventi succedutisi in Tibet. Ne approfittai per notare mille dettagli che nessun viaggiatore straniero sarebbe stato neppure in grado di immaginare

Viaggio di una parigina a Lhasa.

Si nutrono quasi esclusivamente di tsampa e tè, che ottengono per lo più mendicando. Spesso dormono all’aperto, a volte digiunano per giorni, di tanto in tanto ricevono ospitalità per la notte e generose porzioni di cibo

Alexandra ricostruisce con precisione i vari spostamenti, menzionando città, villaggi, montagne e fiumi, racconta le difficoltà, i pericoli affrontati e i fatti degni di nota, descrive le credenze, gli usi e i costumi del popolo tibetano. Costretta a condensare otto mesi di viaggio in un libro, ha selezionato solo gli episodi più interessanti per i lettori.

La sua è una straordinaria avventura ed è impossibile non lasciarsi ispirare da una donna così indipendente, forte e determinata. Tuttavia questo racconto, che ho comunque apprezzato, non è riuscito a trasmettermi emozioni, a entusiasmarmi. C’è più testa che pancia nella scrittura dell’autrice, e la conclusione del libro mi è sembrata anche un po’ frettolosa.

Ha però aumentato la mia curiosità per questa regione dell’Asia centrale, dov’ero già stata con Sette anni in Tibet di Heinreich Harrer, e non ha scalfito l’ammirazione per Alexandra David-Néel, della quale vorrei leggere altri libri. Oltre a Viaggio di una parigina a Lhasa, Voland ha pubblicato anche: Il potere del nulla, Nel paese dei briganti gentiluomini, Mistici e maghi del Tibet.

La causa di tutto quanto ci accade è in noi stessi. (Alexandra David-Néel) Condividi il Tweet

Il fascino dell’Oriente

Intellettuale, scrittrice, giornalista, conferenziera, cantante d’opera, viaggiatrice instancabile, Alexandra David-Néel introdusse il buddismo in Occidente. Si immerse nella cultura orientale viaggiando, sia per superare la mera erudizione degli orientalisti francesi sia per toccare con mano antichi testi religiosi e filosofici utili alla sua formazione. A questo scopo, oltre all’inglese che le serviva per comunicare durante i suoi spostamenti, imparò il tibetano, il pali e il sanscrito.

L’Oriente — soprattutto il Tibet — è la terra del mistero e degli avvenimenti strani. Se solo si è in grado di guardare, ascoltare e osservare con attenzione e a lungo, vi si scopre tutto un mondo al di là di quello che siamo abituati a considerare come l’unico reale, forse perché non analizziamo abbastanza minuziosamente i fenomeni dai quali è nato e non risaliamo abbastanza nel passato alla concatenazione delle cause che li determinano

Viaggio di una parigina a Lhasa

Durante la sua vita, lunga e avventurosa, si sentì più a casa lì che in Europa, dove tornò definitivamente nel 1946. Trascorse gli ultimi venti anni della sua vita leggendo e scrivendo nella celebre abitazione di Digne-les-Bains, in Provenza, da lei chiamata Samten Dzong (fortezza della meditazione), oggi aperta al pubblico.

Per approfondire: ti consiglio di ascoltare la puntata di Vite che non sono la tua dedicata ad Alexandra David-Néel e raccontata da Bianca Pitzorno. È una delle mie preferite.

Scopri: le altre storie di Oltre i confini, la mia rubrica dedicata alle viaggiatrici del passato

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Allevatrice di unicorni e dirigente di una multinazionale di idee. Da grande vorrebbe diventare ambasciatrice di sorrisi e indossare solo abiti color turchese.