È del 2010 il primo viaggio nei luoghi dei miei antenati. Gli avi e le ave del lato paterno abitavano in Toscana. Quell’anno, a ottobre, trascorsi alcuni giorni nel senese e visitai la tomba del bisnonno morto nel ‘45. Da allora non ho più smesso di cercare.
Ho fatto sì delle pause, dovute ai trasferimenti all’estero e a tutto quello che ne è conseguito, ma considero le mie ricerche genealogiche un progetto a lungo termine. Mentre percorro il tempo all’indietro mi imbatto in luci e ombre che non sono le mie, ma che a me, in qualche modo, appartengono. Cosa ho ereditato? Qual è il mio ruolo all’interno del sistema familiare da cui provengo? Quale ferita sono venuta a sanare, quale ciclo a spezzare?
Questo movimento a ritroso fra i rami del mio albero genealogico è un modo per onorare delle persone che non ci sono più, dando loro almeno un nome e una data di nascita, per celebrare il mistero della vita e della morte, per scendere in antri angusti e bui, la cui frequentazione, seppur scomoda, ha in realtà un enorme potere trasformativo e curativo.
Indietro nel tempo, sulle sponde di un lago
Naturale, quindi, che Il lago. Ritorno nei Balcani in pace e in guerra (Crocetti, 2022, traduzione di Anna Lovisolo) di Kapka Kassabova abbia esercitato su di me un certo magnetismo. A distanza di più di un anno da quando l’ho letto, ogni volta che lo riapro ci ricasco dentro lasciandomi avviluppare dalle parole.
Se si vuole compiere un viaggio nei luoghi dei propri antenati bisogna essere disposti a vedere cose che è più facile negare. Ciò che alla fine mi ha spinto è stata la preoccupazione che fosse in qualche modo rischioso lasciar passare troppo tempo. Che se non avessi conosciuto a fondo il paesaggio esistenziale della mia famiglia materna, avrei forse potuto ripetere certi vecchi schemi. E poiché in questo secolo ancora assistiamo a guerre civili e fratricide, a politiche divisive tra gli stati e al loro interno, a revisionismi e autocrazie di natura patriarcale, a migrazioni di massa e a spostamenti di popoli, poiché assistiamo a tutto questo, rischiamo di trasformarci anche noi in involontari agenti della distruzione, a meno di non prendere coscienza del modo in cui ci portiamo dietro la nostra storia familiare.
Il lago. Ritorno nei Balcani in pace e in guerra, Kapka Kassabova
L’area geografica raccontata da Kassabova si raccoglie intorno a due specchi d’acqua molto antichi (i più antichi d’Europa), il lago di Ocrida e il lago di Prespa, ed è condivisa da tre stati: Macedonia del nord, Albania e Grecia. Da lì proviene il ramo materno dell’autrice. Quello esplorato è quindi il “paesaggio esistenziale” della sua famiglia, che lei ha voluto conoscere e comprendere per evitare la ripetizione di dolorosi schemi transgenerazionali.
La geografia dà forma alla storia, generalmente accettiamo questo assunto come un dato di fatto, ma non capita spesso di indagare il modo in cui le famiglie assimilano grandi storie-geografie, e come queste scolpiscano il nostro paesaggio interiore mentre noi, a livello individuale, continuiamo a influenzare il corso della storia in maniera invisibile ma significativa, perché il locale è inseparabile dal globale. Sono andata ai laghi per cercare di comprendere queste forze.
Il lago. Ritorno nei Balcani in pace e in guerra, Kapka Kassabova
Affiancando l’analisi storica e l’esplorazione geografica a memorie personali e ancestrali, Kassabova trasforma la sua indagine privata in una riflessione di respiro universale. E quale luogo migliore di un lago per immergersi nelle acque profonde della propria psiche, andando a rintracciare ombre condivise con le antenate?
La sua scrittura, plasmata dalla pratica poetica (Kassabova ha esordito nel 1997 con una raccolta di poesie), parla ai sensi, navigando con disinvoltura fra luoghi e tempi diversi, fra i punti di vista e le storie di chi quei luoghi li abita o li ha abitati. Nonostante la densità del contenuto, l’esperienza di lettura seppur lenta non è mai noiosa, ma arricchisce e stimola il pensiero.
Kapka Kassabova è una delle mie voci preferite (mentre scrivo attendo che mi arrivi Elisir. Nella valle alla fine del tempo). Nata e cresciuta in Bulgaria e successivamente emigrata con la famiglia in Nuova Zelanda, si è poi trasferita in Scozia, dove vive stabilmente da anni. È nota soprattutto per quel bellissimo libro che è Confine. Viaggio al termine dell’Europa (EDT, 2019).
Recentemente è stata ospite di una puntata del podcast di Ryan Murdock, Personal landscapes, dove ha parlato del suo ultimo libro Anima: A Wild Pastoral. Un’altra conversazione che mi è piaciuta e ti consiglio di ascoltare è poi Male Routes and Female Travellers: Kapka Kassabova and Erika Fatland.
Antiche lapidi funerarie nei Balcani
A chi ha viaggiato nei Balcani sarà forse capitato di imbattersi negli stécci, lapidi monolitiche medievali presenti sul territorio di quasi tutta la Bosnia-Erzegovina, nelle zone occidentali di Serbia e Montenegro e in quelle centrali e meridionali della Croazia.
Utilizzati tra il XII e il XVI secolo, venivano solitamente realizzati in pietra calcarea (più diffusa), ma nelle zone dove non c’era il calcare si usavano anche il serpentino, l’ardesia, il conglomerato, il tufo e altri materiali. Interessanti i motivi decorativi (simboli sociali e religiosi, composizioni figurative e ornamenti vegetali e geometrici) e gli epitaffi, che erano sia messaggi per il defunto (per la pace della sua anima) sia messaggi del defunto ai vivi (per la loro educazione religiosa).
Cosa li distingue dall’arte sepolcrale europea e mondiale? Il loro numero (ne sono stati registrati circa 70.000, ma si pensa siano molti di più), la diversità delle forme, la ricchezza dei rilievi decorativi, le epigrafi, la multiconfessionalità. Nel 2016 sono stati dichiarati Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Un articolo approfondito sugli stécci lo trovi su Lovingbakalns, altre informazioni e foto sul sito web dell’UNESCO.
Appunti
📌 Negli ultimi anni sono riuscita a portare avanti la mia ricerca genealogica grazie al Portale Antenati. Nel caso tu pure voglia fare ricerche ma non sappia da dove iniziare parti magari dalla Piccola guida alla ricerca genealogica di Giulia Depentor, autrice del podcast Camposanto.
📌 A Kapka Kassabova e al libro che ti ho appena raccontato devo la scoperta della psicogenealogia e di un testo cardine sull’argomento: La sindrome degli antenati. Psicoterapia trans-generazionale e i legami nascosti nell’albero genealogico (Di Renzo Editore, 2019) scritto dalla psicologa e psicoterapeuta francese Anne Ancelin Schützenberger (1919-2018). Mi si è aperto un mondo.
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Per oggi Frammenti si conclude qui. Ti lascio con una citazione tratta da un romanzo che sto leggendo in questi giorni, Io, Tituba strega nera di Salem di Maryse Condé (1934-2024):
I morti muoiono solo se muoiono nei nostri cuori. Vivono se li amiamo teneramente, se onoriamo la loro memoria, se posiamo sulle loro tombe le pietanze che preferivano da vivi, se a intervalli regolari ci raccogliamo per ricordarci insieme di loro. Sono dappertutto intorno a noi, avidi di attenzione e di affetto. Poche parole sono sufficienti a risollevarli e a far sì che premano i loro corpi invisibili contro i nostri, impazienti di rendersi utili.