A 113 anni dalla sua morte, la breve e intensa vicenda umana di questa giovane donna che viaggiava nel deserto vestita da uomo continua ad affascinare i posteri. Su Isabelle Eberhardt non s’è mai smesso di scrivere e nemmeno di fare congetture.

Gli studi, l’Islam, il Maghreb 

Nata a Ginevra nel 1877, da Nathalie Eberhardt Moerder, vedova di un generale russo, e da padre ignoto — che la maggior parte degli studiosi identifica con Alexandre Trophimowsky, istitutore di Isabelle e dei suoi fratelli —, crebbe in un ambiente familiare ricco di stimoli, dove si professavano principi libertari e laici.

Alexandre Trophimowsky, ex prete ortodosso e anarchico, aveva una cultura molto vasta e insegnò ai figli di Nathalie tutto quello che c’era da apprendere. Isabelle, allieva diligente e assetata di conoscenza, amava i libri e parlava diverse lingue; da sola studiò il turco e l’arabo. Questo le permise di intrattenere una corrispondenza con studiosi di cultura araba residenti in Francia, Egitto e Medio Oriente e diventare un’esperta del Corano.

L’amore per la scrittura c’era già prima dei viaggi: sotto lo pseudonimo di Nicolas Podolinsky esordì, nel 1895, su Nouvelle Revue Moderne con il racconto Infernalia e con il saggio Visione del Moghreb; quello per i travestimenti anche. Indossare abiti da uomo le permetteva di fare ciò che altrimenti le sarebbe stato precluso in quanto donna:

Vestita come si conviene ad una ragazza europea, non avrei mai visto niente, non avrei avuto accesso al mondo, poiché la vita esterna sembra essere fatta per l’uomo e non per la donna. E invece mi piace immergermi in un bagno di vita popolare, sentire le ondate di folla scorrere su di me, impregnarmi dei fluidi del popolo. Solo così posseggo una città e ne so ciò che il turista non capirà mai, malgrado tutte le spiegazioni delle sue guide.

Nel Paese delle Sabbie, Isabelle Eberhardt

Nel maggio 1897 si trasferì con la madre a Bona, in Algeria, dove il fratello Augustine, a cui era molto legata, s’era arruolato nella Legione straniera. Entrambe si convertirono all’Islam. Nathalie morì a distanza di pochi mesi dall’arrivo a Bona e la figlia, in preda allo sconforto, tornò a Ginevra con Trophimowsky. Quando anche lui passò a miglior vita, nel 1899, Isabelle ripartì alla volta del Nordafrica, diretta a Tunisi. Aveva 22 anni. Esplorò il Sahara, il Souf algerino e il Sahel tunisino.

La bellezza di questo paese è unica nell’aspra e splendida terra d’Africa: qui tutto è dolce e luminoso, e anche la malinconia degli orizzonti infiniti non è né minacciosa né desolata, come da tutte le altre parti. L’aria del Sahel è vivificante e pura, il suo cielo, incomparabilmente limpido.

Nel Paese delle Sabbie, Isabelle Eberhardt

L’anno successivo seguirono una serie di viaggi tra Parigi e Ginevra e un soggiorno a El Oued, dove incontrò Slimène Ehnni, un sottufficiale algerino musulmano di nazionalità francese del quale si innamorò. Insieme a lui entrò a far parte della più antica confraternita mistica del mondo islamico, la Quadiryya, e viaggiò soprattutto per incontrare esponenti religiosi.

Le autorità francesi diedero del filo da torcere alla coppia, perché non vedevano di buon occhio Isabelle, che aveva nemici sia tra i francesi sia tra gli arabi. I primi sospettavano fosse una spia e ne disapprovavano lo stile di vita e la vicinanza ai musulmani; i secondi non si fidavano del tutto di lei.

Il 29 gennaio 1901 venne accoltellata da un membro di un’altra confraternita. Salva per miracolo e dopo circa un mese di ospedale, si rimise in cammino per raggiungere Batna. In seguito al processo che condannò il suo assalitore al carcere, le autorità francesi espulsero Isabelle dall’Algeria. Non le restò quindi che trasferirsi a Marsiglia, dove cercò di racimolare denaro vendendo i suoi scritti.

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Slimène nel frattempo era stato ricoverato in ospedale a causa della tubercolosi e la raggiunse nell’ottobre del 1901. I due si sposarono e, grazie alla cittadinanza francese ottenuta da Isabelle con il matrimonio, tornarono in Algeria.

Al 1902 risale l’incontro con Victor Barrucand, direttore della rivista locale Akhbar ed estimatore della scrittrice, alla quale offrì una collaborazione fissa come reporter. In quel periodo scrisse — articoli, diari, romanzi e racconti — e viaggiò molto, sempre vestita da uomo. Lei era per tutti Si Mahmoud ould Ali, un giovane letterato tunisino. La sua salute però cominciò a declinare, per via di ripetute febbri malariche e delle conseguenze del suo stile di vita sregolato.

Nel 1903 si recò a sud di Orano come inviata di guerra per la rivista La Dépêche algérienne. Doveva seguire la battaglia di El Moungar e l’assedio di Taghit. La parte meridionale del Maghreb era abitata da tribù bellicose in lotta con i francesi. I suoi articoli attirarono l’attenzione dell’opinione pubblica.

Per la prima volta a sud di Orano, ritrovo l’impressione profonda, provata un tempo nell’entrare in altre regioni sahariane.
La riconosco in tutto il suo splendore, con i suoi incanti tristi  e le sue magie, la terra che si abbandona all’eterna carezza del sole, senza alcuna cima vulcanica, senza alte montagne.

Nel Paese delle Sabbie, Isabelle Eberhardt

Il bisogno di ricerca interiore la portò, nel 1904, a Kénadsa, ospite di una zaouïa1, dove rimase un’estate intera colpita da febbri malariche. Ad Aïn Séfra fu ricoverata in un ospedale militare. Il 21 ottobre 1904, sentendosi meglio, uscì contro il parere dei medici per incontrare il marito che, in servizio nella regione di Costantina, era lì in licenza.

Isabelle aveva affittato una casa di toub2 sulla riva di un fiume asciutto da tempo. Proprio quel giorno, un’enorme massa d’acqua proveniente dalle pendici della catena montuosa dell’Atlante si riversò sui letti dei fiumi essiccati, travolgendo cose e persone. Anche le povere abitazioni di Aïn Séfra. Tra le case distrutte c’era quella di Isabelle. Slimène si salvò. Morì nel 1907.

Il corpo di Si Mahmoud ould Ali fu ritrovato qualche giorno dopo dall’amico Hubert Lyautey — il generale conosciuto durante l’esperienza a sud di Orano — e deposto in una tomba del cimitero musulmano di Sidi Boudjemaa.

Ho voluto possedere questo paese e questo paese mi ha posseduto — Isabelle Eberhardt Condividi il Tweet

La ricerca di un’identità, i viaggi, l’oblio

Questo cavaliere del deserto, sprezzante del pericolo e deciso a restare fedele a sé stesso, condusse un’esistenza aliena dalle convenzioni sociali, alla ricerca della propria identità. Pur avendo accolto i principi della fede islamica, rifiutava la rigidità della società araba, così come rifiutava le regole di quella occidentale. Con lo stile di vita libero e l’ambigua identità sessuale, sembrava voler affermare la sua indipendenza e la sua forza.

Sorprende, allora, quanto notato da Lynda Chouiten. Nel libro Isabelle Eberhardt and North Africa: Nomadism as a Carnivalesque Mirage, l’autrice spiega come l’anticonformismo di Isabelle riveli spesso un attaccamento ai valori morali borghesi, tanto da riscrivere la storia familiare per darle un volto rispettabile ed enfatizzare le virtù femminili.

Leggi anche: Viaggiatrici nel Sahara: 5 donne che hanno esplorato il grande deserto africano tra ‘800 e ‘900

Si immerse totalmente nel mondo in cui aveva scelto di vivere, la sua patria d’adozione. Frequentò prostitute, vagabondi, eruditi, sceicchi, legionari, beduini, galeotti, marabutti; ebbe amanti arabi e sposò un francese naturalizzato musulmano; seguì le carovane del deserto; abbracciò la religione islamica e poi il sufismo; esplorò il Maghreb in lungo e in largo. Lo conobbe, lo capì, lo raccontò cogliendone l’anima.

Nonostante questo, Isabelle dimostrava un atteggiamento di superiorità nei confronti dell’Oriente non diverso da quello dei suoi contemporanei europei. Definiva “torturante” il suo bisogno di viaggiare e vedeva nelle sicurezze materiali una forma di schiavitù a cui persino “coloro che si credono più emancipati” non sfuggono. Rivendicava il suo diritto al vagabondaggio:

Un diritto che ben pochi intellettuali si curano di rivendicare è quello di partire all’avventura, è il diritto al vagabondaggio […]
Per chi conosce il valore e anche la sensazione deliziosa della libertà nella solitudine (poiché si è liberi solo finché si è soli), l’atto dell’andarsene via è il più coraggioso e il più bello.

Nel Paese delle Sabbie, Isabelle Eberhardt

L’attività febbrile e gli spostamenti continui nascondevano uno spirito inquieto, che anelava a una pace difficile da trovare se non nelle ore lente del deserto. Quando i sensi e la coscienza si assopiscono, ci si lascia vivere. Non si desidera più nulla, diceva. Il soggiorno a Kénadsa, in una zaouïa, pochi mesi prima di morire, si riallaccia al bisogno di riflessione e di ricerca interiore.

Penso con una voluttuosa malinconia a tutta la stranezza della mia vita in questi scenari fuori dal comune… E con gli occhi socchiusi ascolto i canti lamentosi dei cammellieri e dei deïra. Come sempre quando sono in viaggio, nel deserto, sento una grande calma scendere nel mio animo. Non rimpiango niente, non desidero niente, sono felice.

Nel Paese delle Sabbie, Isabelle Eberhardt

La scrittura, le opere, il mito

Nel Paese delle Sabbie è un viaggio dei sensi. La scrittrice descrive ciò che vede con precisione e poesia. Coglie i dettagli che rivelano l’anima di un luogo, racconta la vita quotidiana della gente del popolo con empatia, fissandoli su pezzi di carta qualunque come fossero istantanee; schizzi da rielaborare successivamente. Il paesaggio assume spesso sembianze umane e la realtà sfuma nel sogno.

Dopo l’alluvione Barrucand recuperò le opere di Isabelle, alcune delle quali illeggibili. Nel 1906, diede alle stampe Dans l’ombre chaude de l’Islam (All’ombra calda dell’Islam, Elliot), una raccolta di racconti e riflessioni e, nel 1908, Notes de route.

Su questi testi apportò modifiche significative, aggiungendo, togliendo e reinterpretando ciò che non era leggibile. Eliminò gli episodi che avrebbero potuto scandalizzare i lettori europei e aggiunse ciò che essi si aspettavano di leggere, diffondendo così il mito di Isabelle.

Negli anni successivi si è perciò dovuta ristabilire l’integrità dei testi originari, avverte Olimpia Antoninetti nell’introduzione a Nel Paese delle Sabbie. Impresa riuscita con la pubblicazione di Oeuvres complètes del 1988.

Nel Paese delle Sabbie contiene racconti di viaggio divisi in tre parti: Vagabondaggi, Ritorno a sud e A sud di Orano. I testi inclusi in Vagabondaggi e Ritorno a sud sono stati scritti a partire dal 1899; A sud di Orano raccoglie quelli prodotti nel 1904, pubblicati da Barrucand in Dans l’ombre chaude de l’Islam.

Si è scritto tanto su Isabelle Eberhardt e non sono mancate le speculazioni sulla sua vita privata. C’è chi ha addirittura ipotizzato che suo padre fosse il poeta Arthur Rimbaud. Non sapremo mai come stanno veramente le cose. Certo è che il suo mito è ancora vivo e vegeto a distanza di 113 anni.

Per saperne di più

Ti segnalo alcuni titoli per approfondire l’argomento e qui trovi il film (in inglese) basato sulla vita di Isabelle uscito nel 1991:

  • Yasmina e altre novelle algerine. La via del deserto I, Isabelle Eberhardt, Ibis, 2002 (traduzione di O. Antoninetti)
  • Il paradiso delle acque. La via del deserto II
    Isabelle Eberhardt, Ibis, 2003 (traduzione di O. Antoninetti)
  • Isabelle amica del deserto. Una vita breve di passione e avventura, Mirella Tenderini, Alpine Studio, 2016
  • Voglia d’Oriente. La giovinezza di Isabelle Eberhardt, Charles-Roux Edmonde, Bompiani, 1990
  • All’ombra calda dell’Islam, Isabelle Eberhardt, Elliot, 2017 (a cura di I. Mascia)
  • Sette anni nella vita di una donna. Lettere e diari, Isabelle Eberhardt, Guanda, 2002 (traduzione di L. Prato Caruso)
  • Scritti sulla sabbia, Isabelle Eberhardt, Ugo Mursia Editore, 2008

Katy Poppins ringrazia il suo Babbo per la collaborazione, perché Nel Paese delle Sabbie gliel’ha regalato lui.

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  1. Istituto religioso, sede di una confraternita.[]
  2. Argilla seccata.[]

Allevatrice di unicorni e dirigente di una multinazionale di idee. Da grande vorrebbe diventare ambasciatrice di sorrisi e indossare solo abiti color turchese.