Il 20 novembre 1767 Carsten Niebuhr torna a Copenhagen. È l’unico sopravvissuto di un’importante spedizione danese partita il 4 gennaio 1761. Destinazione? L’Arabia Felice.

Lo Yemen, all’epoca, era quasi sconosciuto. Nessun altro paese prima della Danimarca si era mai avventurato in quella terra dall’appellativo tanto suadente. La spedizione, ambiziosa e innovativa, avrebbe dovuto dare lustro al regno di Federico V.

Immaginate, perciò, quante aspettative erano riposte nei suoi cinque protagonisti: il filologo danese Frederich Christian von Haven, il fisico e botanico svedese Peter Forsskål, il matematico e astronomo tedesco Carsten Niebuhr, il medico e fisico danese Christian Karl Kramer e il pittore e incisore tedesco Georg Wilhelm Baurenfeind. A essi si unì anche Berggren, il servitore svedese.

Ci sono paesi in cui siamo stati felici, ma non ci sono paesi felici (Arabia Felix) Condividi il Tweet

Tuttavia, l’impresa era nata sotto una cattiva stella. Nemmeno il tempo di salpare con la fregata Grønland per raggiungere l’isola di Tenedo in Turchia, che due membri della spedizione erano già sul piede di guerra: Frederich Christian von Haven e Peter Forsskål.

Nel mezzo stavano gli altri, in particolare Niebuhr, figlio di una famiglia di contadini della Frisia, privo dei titoli e delle ambizioni dei suoi litigiosi compagni. A differenza di questi non cercava né soldi né gloria; desiderava solo fare bene il lavoro per il quale era stato ingaggiato.

Una delle ragioni per cui il mondo non è ancora mai scomparso è forse che, anche nei momenti più drammatici, c’è sempre qualcuno che impassibile guarda da un’altra parte. Dei cerchi nella sabbia… Il frontone di una casa a Delfi…”

Arabia Felix

Il lungo viaggio li portò a Costantinopoli, ad Alessandria d’Egitto, al Cairo, nel Sinai, sul mar Rosso e infine in Yemen. Non mancarono difficoltà e pericoli, all’interno e all’esterno della spedizione, litigi, sospetti, imprevisti, fatica e fallimenti. Ci furono però anche gioie, scoperte, avventure e risultati.

Su tutte queste cose aleggiava un’unica domanda, il reale motivo della spedizione danese, quello non ufficiale, quello che nessuno avrebbe mai ammesso, tantomeno in un’epoca dominata dalla ragione. La domanda compare nella prima pagina del diario di Peter Forsskål: “Perché l’Arabia Felice è chiamata felice e vi cercano l’approdo navi che vengono da lontano?“. In realtà quel “felice”, scoprirono dopo, è il frutto di un fraintendimento linguistico.

Di certo i sei uomini non trovarono la felicità in Yemen e la spedizione, inizialmente tanto celebrata, fallì e finì nel dimenticatoio. Quando Niebuhr finalmente tornò a casa nessuno lo accolse con gli onori che avrebbe meritato.

Il libro

Con Arabia Felix, pubblicato nel 1962, lo scrittore, archeologo, giornalista e  viaggiatore danese Thorkild Hansen (1927-1989) ottenne la fama inaugurando un nuovo genere letterario: la narrazione di un fatto storico basata sullo studio della documentazione e la ricerca sul posto.

Libro Arabia Felix, copertina

Leggendolo è inevitabile non provare simpatia e ammirazione per Carsten Niebuhr, eroe di un progetto grandioso, dispendioso e fallimentare, che a un certo punto della storia rinunciò alla propria identità per vivere come un arabo, che tornato in patria rese onore ai suoi compagni morti, pubblicandone a sue spese i lavori, che dopo aver visto un’ampia fetta di mondo si ritirò con la famiglia a Meldorf, una cittadina tedesca non molto distante dal luogo in cui era nato, rinunciando alle lusinghe della società.

Arabia felix è il racconto di una vicenda umana. E le vicende umane sono sempre attuali. Hansen analizza la storia della spedizione danese dandone una sua interpretazione, ma senza perdere di vista la documentazione.

Il nome non è che una benda sugli occhi: il vero osservatore è sempre stato l’uomo che ha saputo perdere la propria vita.

Arabia Felix

Descrive i partecipanti alla spedizione in maniera precisa; di ognuno fornisce una breve biografia e mette in luce difetti e debolezze. Lo fa con occhio clinico, a volte ironico, consapevole però anche del lato umano della vicenda.

Ci invita a capire le dinamiche di quella che avrebbe dovuto essere una squadra di lavoro affiatata e che invece si rivelò fin dall’inizio un gruppo male assortito; e, soprattutto, ci invita ad andare al di là della storia e a riflettere.

La miseria costruisce sulle rovine delle grandi civiltà: un dato di fatto che è rimasto immutato ai nostri giorni […] Non vale solo per il paese tra l’Eufrate e il Tigri. Vale anche per l’India e la Persia, l’Egitto e il Sud Italia. Vale per quasi tutti i paesi in cui fiorivano un tempo le più grandi civiltà e che naturalmente nella nostra epoca affetta da avanzata miopia storica, vengono definiti come sottosviluppati. Se non fossimo troppo meschini per guardare in faccia la verità, sarebbe forse più giusto chiamarli sovrasviluppati. La ricchezza non è necessariamente la meta finale dello sforzo umano: sembra piuttosto esserne l’inizio. Della fase ultima dello sviluppo, è la miseria che detiene l’esclusiva.

Arabia Felix

Questi uomini erano mossi da ambizioni, desideri, paure e speranze. Ognuno di loro era in cerca della propria Arabia Felice. Ma la felicità non è in nessun luogo. Per trovarla bisogna avventurarsi nell’unico posto dove spesso si entra malvolentieri: sé stessi. Arabia Felix è stato pubblicato in Italia dalla casa editrice Iperborea nel 1992 e ristampato l’estate scorsa per la collana Luci.

Nella semioscurità dell’alba, molto prima che il sole sorga e incendi il giorno, l’arabo ha già acceso il suo fuoco e vi si è accoccolato davanti per prenderne un tizzone e metterlo nella sua pipa mentre aspetta che bolla l’acqua del caffè. Quando il caffè è pronto, lo versa nelle tazzine e lo offre. Ne versa solo un sorso e, una volta bevuto, gli ospiti devono porgere la tazzina per averne un altro. È l’ovvia legge dell’ospitalità. Porgere a qualcuno una tazza colma fino all’orlo, sarebbe mancanza di tatto, sarebbe come dirgli: “Bevi presto e vattene!”. Invece tutto avviene con calma […] Qui ci si rende conto che non siamo quasi niente. Ma gli arabi del deserto si accontentano di poco, vivono la loro vita come bevono il loro caffè, paghi di piccoli sorsi. Ospiti del destino, trovano naturale che questi non versi a fiotti ricchezza e abbondanza nelle coppe che porgono. Non sarebbe in accordo con le leggi dell’ospitalità. Sarebbe come se il destino li pregasse sdegnosamente di sparire. […]Arabia Felix

Lo Yemen oggi

Situato all’estremità meridionale della penisola araba, nel I millennio a.C. lo Yemen fu il centro del famoso regno di Saba. Il soprannome Arabia Felice è frutto di un errore semantico ed etimologico, giustificato anche dalla ricchezza di risorse di cui anticamente disponeva. Oggi ha una popolazione di più di 24 milioni di persone e non è un posto felice: è fra i paesi arabi più poveri, dal 2015 al centro di una guerra civile che ha causato una grave crisi umanitaria.

→ Leggi Arabia Felix, Thorkild Hansen, traduzione a cura di D. Unfer, pp. 477

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Allevatrice di unicorni e dirigente di una multinazionale di idee. Da grande vorrebbe diventare ambasciatrice di sorrisi e indossare solo abiti color turchese.